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ARTICOLO: Totila re dei Goti. La sua secolare demonizzazione.

di ANNA BOZZETTO

Anno 2015



Totila incontra San Benedetto, affresco di Spinello Aretino - San Miniato al Monte (Firenze)


Tendendo presente l'efficace similitudine di Marc Bloch che paragonò il lavoro dello storico a quello del giudice istruttore [1], possiamo passare a un vaglio critico le testimonianze contraddittorie su Totila re dei Goti, il perfidus rex dei Dialoghi gregoriani e il nefandissimus della Pragmatica Sanctio giustinianea.

Totila secondo Procopio di Cesarea

In base alla testimonianza di Procopio di Cesarea [2], intellettuale e storico della corte bizantina, Totila si affacciò alla Storia nell'autunno del 541.
Nell’anno 535, col pretesto dell’assassinio della regina Amalasunta, figlia di Teodorico e filobizantina, per mano del cugino Teodato, Giustiniano aveva dato inizio alla Guerra Gotica. Il suo scopo era riconquistare l'Italia, fino a quel momento retta dalla casata di Teodorico. L'Imperatore si era prefisso infatti il tanto ambizioso quanto anacronistico obiettivo di riunificare Oriente e Occidente sotto un unico trono. E nello stesso tempo, si era proposto d'imporre a questo impero unificato il solo culto cattolico-niceno [3], con l'eliminazione di tutti gli altri, tacciati di eresia [4]. I Goti erano finiti nel “mirino” delle rivendicazioni imperiali anche per il fatto di essere seguaci del cristianesimo ariano [5]. Nell'anno 540, dopo le ripetute sconfitte militari di re Vitige, i Goti si erano arresi a Belisario, il Generalissimo di Giustiniano. Vitige era finito prigioniero a Costantinopoli e i Goti riorganizzarono la resistenza all'Impero bizantino nominando loro re Ildebado. Con l'assassinio di Ildebado, l'offerta della corona passò a suo nipote Totila col patto dell'eliminazione di Erarico, re-fantoccio imposto dalla fazione dei Rugi.
Totila ottenne vari successi militari, preferendo tuttavia le trattative agli scontri in campo aperto. Procopio riporta vari atti di cavalleresca magnanimità compiuti da Totila. Quando nel 543 espugnò la piazzaforte di Cuma, il re goto ebbe cura che il suo esercito non facesse alcuna violenza alle mogli dei senatori che si trovavano là. Nello stesso anno conquistò Napoli, i cui abitanti si arresero dopo un logorante assedio. Al suo ingresso in città, sfamò la popolazione stremata. Si curò persino di far nutrire gradualmente gli affamati perché non avessero danni da eccesso di cibo dopo prolungati digiuni. In quella stessa occasione, consentì ai soldati nemici comandati da Conone di ritirarsi incolumi. Li rifornì addirittura di animali da soma e di provviste per il viaggio.
Il re dei Goti punì poi senza remore un suo soldato che aveva violentato una ragazza, figlia di un cittadino romano: pur trattandosi di un combattente valoroso lo fece incarcerare e in seguito giustiziare. Ai comandanti che chiedevano pietà per il colpevole rispose: «Non è possibile che un uomo che si è macchiato compiendo un atto di violenza acquisti gloria in combattimento!»
Procopio di Cesarea ci racconta anche della pietà dimostrata da Totila quando conquistò Roma, nell’anno 546. Il diacono Pelagio lo raggiunse nella basilica di San Pietro, dove si era recato a pregare, e lo supplicò di risparmiare la popolazione. Totila lo ascoltò. Inoltre, protesse dalle violenze dei Goti Rusticiana, vedova di Boezio, che stava per essere linciata. Non permise alcuna vendetta su di lei né alcun oltraggio nei confronti delle altre donne. A quel punto, Totila voleva concludere la guerra. Inviò un’ambasceria a Giustiniano con una missiva in cui proponeva all'imperatore la stessa pacifica collaborazione che c'era stata un tempo fra Teodorico e Anastasio [6]. Il re dei Goti concluse la lettera con questa frase: «Se desideri (la pace), sarai considerato da me come un padre e potrai servirti di me come alleato contro chiunque vorrai». Giustiniano respinse l’ambasceria. Non considerava Totila un leader degno di trattare con lui, ma un usurpatore e un eretico. Così rispose ai messaggeri goti di andare a trattare con Belisario, il generale a cui aveva affidato la conduzione della guerra. Umiliato da quella risposta, Totila minacciò di radere al suolo Roma. Belisario lo dissuase. Gli scrisse che compiendo un'azione del genere, avrebbe coperto il suo nome d'infamia per tutti i secoli a venire.
Diverse città italiane caddero in mano a Totila in modo incruento. Procopio ci riferisce che Totila prese Fermo e Ascoli per capitolazione, che Erodiano, comandante della guarnigione di Spoleto, gli consegnò la città per uno screzio con Belisario e che Assisi gli fu ceduta dagli abitanti, sfibrati dall'assedio. Anche gli assediati nella fortezza di Rossano si arresero a lui. In quel caso, solo uno dei comandanti nemici fu ucciso perché non aveva mantenuto la parola data. La popolazione, pur privata dei suoi averi, non ricevette alcuna violenza fisica.
Procopio ci racconta infine la morte di Totila nella battaglia di Busta Gallorum (luogo identificabile con l’attuale Sassoferrato), nel luglio del 552, che vide vincitore il generale bizantino Narsete. Il re dei Goti fu inseguito durante la sua ritirata da un drappello di mercenari e gravemente ferito da uno di essi con un colpo di lancia alle spalle. Riuscì a cavalcare fino al villaggio di Caprae, (l’attuale Caprara) dove morì poco dopo. I suoi uomini lo seppellirono in una tomba senza nome, in seguito profanata dai Bizantini per accertare l’identità del defunto. Procopio si rammarica per una fine così tragica e, a suo parere, immeritata: afferma che quella morte, dovuta all'imprevedibilità e all'illogicità del destino, «non fu degna delle sue passate imprese» e «non coronò i suoi meriti».
Nell'opera di Procopio di Cesarea troviamo anche situazioni in cui Totila punì con mano forte e i Goti commisero violenze. Ad esempio, Totila mise a morte il bizantino Isace che gli aveva ucciso l'amico Roderico. Infatti, vendicare il compagno d'armi caduto in battaglia era un punto d'onore per il capo di un popolo celtico o germanico [7]. L’ordine di mutilare il presule Valentino si colloca poi in un contesto particolare. L’uomo fu catturato in una nave carica di provviste per l’esercito nemico e accusato di mentire nel corso di un interrogatorio su qualcosa che Totila riteneva di vitale importanza (e su cui Procopio tace). [ 8]
Procopio riporta infine che l’esercito dei Goti irruppe nottetempo a Tivoli (le cui porte furono aperte dagli stessi soldati romani), saccheggiò la città e uccise chiunque vi trovò. Ma non attribuisce il sacco di Tivoli a un ordine di Totila. Infatti, era frequente che bande di mercenari militanti negli eserciti commettessero violenze a prescindere dagli ordini del loro condottiero. Nel 536, quando Belisario espugnò Napoli, i mercenari Massageti gli sfuggirono di mano e nella smania del saccheggio massacrarono civili persino all’interno delle chiese.

Totila nella descrizione di Papa Gregorio Magno

Assai diversa dalla figura di nemico valoroso e cavalleresco è il Totila dei Dialoghi di Papa Gregorio Magno.
Totila compare come un anticristo, un simbolo del Male, contrapposto a vari uomini di Chiesa, personificazioni del Bene. Dopo il plateale turbamento per i rimproveri e la profezia di morte ricevuti da San Benedetto (Dialoghi 2,14), il sadismo e la crudeltà di Totila si placano solo per poco. Infatti, subito dopo, il “perfidus rex” getta a un orso il vescovo Cerbonio che però ammansisce la belva (Dialoghi 3,11) e lega sotto il sole il vescovo Fulgenzio, ma un temporale si abbatte sull’esercito e bagna tutti eccetto il religioso (Dialoghi 3,12). Pur non essendo presente all’assedio di Perugia, ordina a un generale di scorticare vivo e decapitare Ercolano, il vescovo della città. Il generale esegue l’ordine, ma la testa e la pelle di Ercolano si riattaccano al cadavere rimasto intatto per quaranta giorni (Dialoghi 3,13).
Il dibattito sull’attribuzione o meno dei Dialoghi a Gregorio Magno è annoso. Alcuni storici li hanno considerati un’opera spuria per la sua bassa espressione stilistica, inadatta a un erudito del livello di Gregorio Magno. Gustavo Vinay nella sua opera Alto Medioevo latino. Conversazioni e no, tratta i Dialoghi come un’opera letteraria di Gregorio Magno e rinunzia pertanto a ogni pretesa di attendibilità storica. Detto questo in generale, occorre premettere che Gregorio Magno proveniva da una famiglia dell’aristocrazia senatoria. E l’aristocrazia senatoria si vide espropriata dei suoi latifondi dalla riforma agraria di Totila. Inoltre il sovrano, al suo ingresso in Roma nel dicembre del 546, accusò i senatori d'ingratitudine per le loro posizioni filoimperiali e li spogliò delle loro prerogative. Non meraviglia quindi l’avversione di Gregorio Magno verso il re dei Goti, già colpevole di essere un eretico. Ma è lo stesso impianto affabulatorio a confinare i racconti su Totila contenuti nei Dialoghi nel territorio della leggenda. L’ammansirsi della belva davanti al cristiano condannato a essere divorato nell'arena è un topos letterario che ricorre in numerosi racconti di martiri risalenti all'età romano-imperiale [9]. Anche il prostrarsi di Totila davanti a Benedetto, il suo farsi prendere dal terrore davanti alla profezia di morte, ricalca perfettamente il prostrarsi di re Saul davanti al fantasma del profeta Samuele che gli preannuncia la sconfitta in battaglia e la morte: «All'istante Saul cadde a terra lungo disteso, pieno di terrore per le parole di Samuele» (Samuele 28,3-20). La leggenda dell'incontro di Totila e San Benedetto è forse tra le pagine più note dei Dialoghi. Totila traveste da re un suo scudiero e si reca all'abbazia camuffato da semplice soldato per saggiare le doti di veggente di Benedetto. Il monaco però lo riconosce, gli rimprovera il “molto male” compiuto e gli profetizza la conquista di Roma e la morte al decimo anno di regno, terrorizzandolo. Tale racconto presenta non poche incongruenze. L’incontro tra il re e il santo non può che essere collocato nel 542, quando Totila iniziò la marcia a Sud, tenendo conto che il regno di Totila finì tragicamente nel luglio del 552 con la battaglia di Busta Gallorum. Nel 542 Totila, appena nominato re, non si era di certo distinto per crudeltà, anzi aveva graziato i nemici sconfitti nella battaglia del Mugello. Il “molto male” compiuto da Totila coincide probabilmente con il fatto di essere “perfidus” per la sua mera adesione al cristianesimo ariano. Infatti, secondo il De Lubac, Gregorio Magno, nel chiamare Totila "perfidus rex", usa l'aggettivo perfidus come sinonimo di eretico [10].

Totila nell'agiografia medievale e nella storiografia ufficiale bizantina

La visione demoniaca di Totila inaugurata dai Dialoghi di Papa Gregorio Magno sarà ripresa ed esasperata dalle agiografie medievali. Il re dei Goti appare come un demonio, colpevole di atroci martiri.
Si tratta di opere composte svariati secoli dopo la morte del re: alcune, come la passio di San Proculo, addirittura nel XIV secolo. La passio di San Lauriano, scritta nel X secolo, è emblematica. Lauriano contesta le dottrine di Ario e Totila manda dei sicari ad assassinarlo. Questi lo raggiungono e lo decapitano. Allora Lauriano raccoglie la propria testa recisa e li insegue, pregandoli di portarla a Siviglia dal loro re. Totila non mise mai piede in Spagna né mai vi regnò: questo dimostra che il Totila delle agiografie medievali non è un personaggio storico, è il simbolo dell’Eresia e quindi dello stesso Diavolo. Spesso è persino confuso con Attila [11].
Occorre adesso esaminare il giudizio dato a Totila dalla storiografia ufficiale bizantina che si esprime nell'Auctarium. L'Auctarium è un'aggiunta posteriore al Chronicon di Marcellino Comes. Marcellino Comes, cancellarius di Giustiniano, interrompe i suoi annali con l’anno 534. Si tende ad attribuire a un anonimo Continuator l'aggiunta relativa agli anni delle Guerre Gotiche. Parlando di Totila, il racconto lapidario del Continuator entra in palese contraddizione con quello di Procopio di Cesarea. L'autore attribuisce a Totila non solo la distruzione di Tivoli, ma anche quella di Napoli che invece godette di un trattamento clemente secondo Procopio. Si legge infatti, riferito all'anno 544: «Totila assedia Fermo e Ascoli e distrugge Napoli e Tivoli».
C’è un’analoga contraddizione per l'anno 545: Procopio ci riferisce che Totila prese Fermo e Ascoli per capitolazione, senza spargimenti di sangue. Il Continuator scrive invece che il re entrò nelle due città, lasciò andar via le truppe bizantine con tutto il loro bottino poi fece depredare e massacrare i civili sfogando su di loro la sua crudeltà: «Crudelitatem suam in Romanos exercuit eosque omnes nudat et necat» [12]. Sempre riguardo al 545, l'Auctarium afferma che Totila distrusse Spoleto («Totila Spoletium destruit»). Secondo Procopio, invece, il comandante Erodiano consegnò Spoleto a Totila per uno screzio con Belisario e la città non ricevette alcun danno. Queste contraddizioni possono essere risolte tenendo conto degli studi del Mommsen [13]. Secondo lo storico, l'Auctarium è stato scritto dopo la riconquista bizantina dall'Italia [14]. Quindi, come cronaca ufficiale della corte imperiale, propone la stessa visione del nemico sconfitto presente nella Pragmatica Sanctio di Giustiniano: il tiranno, l’usurpatore, il nefandissimus Totila. E con la lapidaria condanna della Sanctio come nefandissimus e dell’Auctarium come re per la rovina dell’Italia ("malo Italiae”), inizia la leggenda nera di Totila, che lo accompagnerà per tutto il Medioevo, fino all’era moderna. Anche il cronista Iordanes recepirà riguardo a Totila le posizioni dell’Auctarium. La storiografia di corte non può non risentire del giudizio di Giustiniano verso il suo nemico [15]. L’Imperatore, infatti, detestava Totila: il re goto non era imparentato con la dinastia di Teodorico, il sovrano che aveva ricevuto dall’imperatore Anastasio la delega di governare in Italia, quindi reputava la sua incoronazione un mero atto di ribellione dei Goti. E lo vedeva come un usurpatore privo di ogni legittimazione a regnare, quindi come un nemico con cui non venire a compromessi e a cui muovere una guerra di annientamento. Fu per questo che Giustiniano respinse le varie ambascerie di pace inviategli da Totila.

Conclusioni

Nel caso di Totila sono intuibili i sentimenti che stanno alla radice della sua demonizzazione. Di sicuro, l’odio del patriziato romano. Totila impoverì l’aristocrazia senatoria, alla quale apparteneva anche la famiglia di Gregorio Magno, privandola delle sue prerogative e delle rendite dei propri latifondi. Infatti, in base alla riforma agraria di Totila, i coloni che versavano i tributi ai Goti invece di pagare il canone al loro signore, diventavano proprietari delle terre su cui lavoravano. Uno dei motivi principali della fama di nefandezza di Totila fu quindi il suo progetto di sovversione dell’ordine sociale: coloni che diventavano proprietari delle terre e schiavi elevati alla dignità di guerrieri liberi combattendo tra le fila dell’esercito goto, erano davvero troppo per la nobiltà senatoria filobizantina.
All’odio del ceto senatorio bisogna aggiungere l’ostilità di Gregorio Magno. La “perfidia” di Totila è legata essenzialmente all'essere un eretico ariano.
La descrizione di Totila fatta nell’Auctarium, e conseguentemente da Iordanes che se ne serve come fonte, ricalca i risentimenti di Giustiniano. Per lui Totila non era altro che un barbaro non solo privo di ogni titolo per regnare in Italia, ma anche indegno di negoziare con lui. La spoliazione del ceto senatorio filoimperiale e la sovversiva riforma agraria furono infatti i primi provvedimenti aboliti dalla Pragmatica Sanctio di Giustiniano, per i quali essa lega l'aggettivo nefandissimus al nome di Totila.
A questo punto, dopo un esame critico delle fonti storiche, si rivela opportuno un ridimensionamento delle nefandezze attribuite a Totila. Eccessivo è anche accusare il re goto di essere stato il solo, malevolo responsabile del protrarsi delle guerre gotiche e della conseguente prostrazione dell’Italia. Totila mandò più volte a Costantinopoli ambascerie di pace, ma non capì con quale nemico avesse a che fare. Giustiniano mirava sia a porre Oriente e Occidente sotto un unico trono, sia a eliminare tutti gli elementi eretici, Goti compresi, in nome dell’unità religiosa sotto l'egida del culto niceno. Oltre ai limiti di strategia militare, che emersero in tutta la loro drammaticità a Busta Gallorum, il limite maggiore di Totila fu di non comprendere che il tempo di Teodorico e Anastasio era finito per sempre.
Se Totila, alla vigilia della sua ultima battaglia, respinse i messi di Narsete che gli avevano proposto la resa, non lo fece di certo per caparbietà o egoismo. Quale condottiero si sarebbe arreso a un imperatore che gli aveva respinto l’ultima ambasceria di pace gridando ai messaggeri di odiare il suo popolo e di volerlo cancellare dall’impero [16]? Considerando poi che Narsete fece decapitare tutti i Goti che si arresero a Busta Gallorum, che fine avrebbero fatto Totila e i suoi soldati se il re si fosse consegnato ai Bizantini senza combattere? Assai probabilmente, sarebbero andati comunque incontro alla morte o alla schiavitù, dato che Giustiniano aveva deciso una guerra di annientamento.
Accogliendo come verisimile la testimonianza di Procopio, c'è da chiedersi quali furono le motivazioni della singolare umanità di Totila. Assai probabilmente, Totila coltivò il sogno di restaurare il prospero regno di Teodorico fondato sulla pacifica coesistenza dei Goti e della popolazione di origine romana. Vedeva in Teodorico il suo modello di regnante. Che Totila cercasse d’imitare Teodorico si vede bene quando, nel corso della prima conquista di Roma, andò a pregare nella basilica di San Pietro: lo stesso gesto che fece Teodorico dopo il suo ingresso trionfale a Roma nell’anno 500. Proprio perché voleva restaurare quella che per lui fu l’epoca d’oro di Teodorico, Totila non si abbandonò a inutili crudeltà verso i nemici e la popolazione: voleva che sia i Goti che i sudditi di origine romana lo considerassero il loro sovrano ideale.

Note:

(1) March Bloch, Critica storica e critica della testimonianza, 13 luglio 1914, in M. Bloch, Storici e storia, Torino, Einaudi, 1997, pp. 11-20.
(2) Procopio di Cesarea, Le guerre: persiana, vandalica, gotica a cura di Marcello Craveri, Einaudi 1977.
(3) Il Concilio di Nicea si tenne nel 325 e stabilì la divinità di Cristo e la consustanzialità col Dio-Padre.
(4) Per le persecuzioni compiute da Giustiniano ai danni di eretici, pagani, Ebrei e Samaritani in nome dell’ortodossia nicena, si veda F. Cardini, Cristiani perseguitati e persecutori, Salerno Editrice 2011 p.146-149 laddove l'Autore parla dei supplizi a cui venivano sottoposti in base alla legislazione giustinianea.
(5) Ario aveva sostenuto che nella Trinità il Figlio non era al pari del Padre e non era quindi compartecipe della stessa divinità assoluta e increata. La sua dottrina fu bollata di eresia.
(6) Imperatore di Bisanzio dal 491 al 518 che diede a Teodorico il compito di liberare l’Italia da Odoacre.
(7) Per il patto d'onore e fratellanza che presso i popoli celtici e germanici legava i compagni d'armi del comitatus si veda: F. Cardini, Alle radici della cavalleria medievale, Sansoni, Milano 2004 p.113. Vendicare il compagno caduto in battaglia si poneva come dovere del sopravvissuto.
(8) Si veda Laura Carnevale,Totila come perfidus rex tra storia e agiografia, Vetera Christianorum 40, 2003, 43-69, p. 48: “Anche se la fonte non consente di conoscere l’oggetto della menzogna, la reazione del re goto mostra come essa dovesse apparirgli molto grave e soprattutto disdicevole per un vescovo”.
(9) L. Carnevale, Totila come perfidus rex tra storia e agiografia, Vetera Christianorum 40, 2003, 43-69, p. 57 cita a riguardo i martiri di Perpetua, Felicita, Paolo e Tecla.
(10) H. De Lubac, Esegesi medievale, i quattro sensi della scrittura, vol.3, sez. V, Milano, Editoriale Jaca Book, 1996 p. 217
(11) Si veda Laura Carnevale, Totila come perfidus rex tra storia e agiografia, Vetera Christianorum 40, 2003, 43-69, pp.66-67: viene esaminata in dettaglio la confusione fra Totila e Attila nella Cronica del Villani e in vari testi agiografici.
(12) “Sfogò la sua crudeltà sui cittadini romani, li privò dei loro beni e li uccise”,
(13) Si veda Mommsen, Continuator Marcellini (M.G.H.AA, 11, Berolini 1894), 42.
(14) Si veda Eliodoro Savino, Campania Tardoantica (284-604 d.C), Parte 3, cap.2, Dalla fine del IV secolo alla guerra greco-gotica, Edipuglia s.r.l, 2005 p. 102.
(15) L.Carnevale, Totila come perfidus rex tra storia e agiografia, Vetera Christianorum 40, 2003, 43-69, pp. 51-52 spiega la dura posizione del Continuator e di Iordanes nei confronti di Totila con la loro piena adesione politica al punto di vista di Giustiniano secondo cui il tentativo di riconquista dell'Italia da parte di Totila non era altro che un illegittimo atto di ribellione. L'Autrice cita anche A. Amici, Iordanes e la storia gotica, Spoleto 2002, pp. 26.187
(16) “Già più di una volta Totila aveva mandato ambasciatori e questi, ammessi al cospetto dell'imperatore Giustiniano, gli avevano spiegato che i Franchi avevano occupato la maggior parte dell'Italia mentre il resto era quasi del tutto disabitato...e che i Goti erano disposti a lasciare ai Romani la Sicilia e la Dalmazia, le uniche regioni rimaste intatte, e a pagare per il resto dell'Italia, praticamente deserto, tributi e tasse ogni anno, oltre a combattere come alleati contro chiunque l'Imperatore avesse voluto e a rimanere suoi sudditi...Ma l'imperatore non aveva tenuto alcun conto le loro parole e aveva congedato tutti gli ambasciatori avendo in odio anche solo il nome dei Goti e intendento assolutamente cacciarli dall'impero” si veda Procopio di Cesarea, Le guerre: persiana, vandalica, gotica (a cura di Craveri M., F.M. Pontani), Torino, Einaudi, 1977 p. 730

Riferimenti bibliografici:

Bloch M., Critica storica e critica della testimonianza,13 luglio 1914, in M. Bloch, Storici e storia, Torino, Einaudi, 1997;
Cardini F., Alle radici della cavalleria medievale, Milano, Sansoni,2004;
Cardini F, Cristiani perseguitati e persecutori, Salerno Editrice 2011;
Carnevale L., Totila come perfidus rex tra storia e agiografia, Vetera Christianorum 40, 2003, 43-69;
De Lubac H., Esegesi medievale, i quattro sensi della scrittura, vol.3, sez. V, Milano, Editoriale Jaca Book, 1996;
Eliodoro Savino, Campania Tardoantica (284-604 d.C), Parte 3, cap.2, Dalla fine del IV secolo alla guerra greco-gotica, Edipuglia s.r.l, 2005;
Gregorio Magno, Storie di santi e diavoli, Vol I, (a cura di Pricoco S., Simonetti M.), Fondazione Lorenzo Valla, Mondadori, 2005;
Marcellinus Comes, Chronicon e Auctarium, Biblioteca digitale di testi latini tardoantichi, Università degli Studi del Piemonte Orientale;
Procopio di Cesarea, Le guerre: persiana, vandalica, gotica (a cura di Craveri M., F.M. Pontani), Torino, Einaudi, 1977;
Vinay G., Alto Medioevo latino. Conversazioni e no, Napoli, Guida Editori, 1978.



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